I numeri complessivi del bio cominciano ad assumere una scala che proietta il settore ben oltre la nicchia: un giro d’affari di 75 miliardi di € (81,6 miliardi di US$, alla fine del 2015). Gli Stati Uniti detengono il primo posto (35,8 miliardi di euro nel 2015), segue l’Europa con quasi 30 miliardi di euro (Unione Europea: 27,1 miliardi di euro).
Ed è da Oltreoceano la notizia che Amazon, il colosso dell’e-commerce, ha comprato, per quasi 14 miliardi di dollari, Whole foods market, una catena di supermercati di lusso statunitensi di alimenti biologici e naturali.
In Italia, 1,5 milioni di ettari di terreno coltivato da 60mila aziende, su dati Sinab, con una continua crescita a due cifre del mercato interno (+21% circa nel 2016, rafforzando la tendenza positiva registrata nel 2015 (+20%) e quella degli ultimi 5 anni (+11%), secondo Ismea.
Dati che fanno dell’Italia una delle protagoniste del settore a livello mondiale ed in particolare a livello europeo, anche in virtù del ruolo di leader nelle esportazioni di prodotti biologici, subito dopo gli USA. L’export ha realizzato 1,650 miliardi di euro, pari al 40 % del fatturato complessivo, secondo Nomisma.
“L’agricoltura biologica è un metodo, è una tecnica agronomica che si basa sull’equilibrio del suolo e del soprassuolo. Mentre il convenzionale nutre la pianta, il biologico nutre il suolo che nutre la pianta.” commenta il Presidente Vizioli.
E’ un importante fattore di dinamismo e innovazione dell’agricoltura e dei territori rurali, nonché di rinnovamento e qualificazione degli addetti agricoli, perché:
- rappresenta una risposta positiva ai principali problemi generati dall’agricoltura intensiva e produttivistica;
- rimette al centro delle decisioni aziendali il produttore/contadino;
- é un modello di sviluppo sostenibile che garantisce l’affermazione della sovranità alimentare, restituendo un ruolo decisionale alle comunità locali che individuano in questo metodo il modello agro-ecologico volto a garantire il proprio diritto ad esercitare il controllo sulle proprie risorse, per un’alimentazione sana ed equa per tutti;
- e che influisce su tutti i processi di produzione legati ai prodotti di origine agricola, fino a tutti i servizi che l’azienda può offrire, quali ristorazione, ospitalità, informazione, formazione;
- è caratterizzante l’agricoltura sociale per la capacità di accumunare e valorizzare qualità ambientale e qualità sociale
Su Tv7, uno speciale del TG1, il boom del biologico visto con gli occhi di Giovanni Bernabei che grazie ad una fornitura di verdura e ortaggi prodotti con metodi naturali all’Accademia Americana di Roma è diventato l’ispiratore dell’orto degli Obama alla Casa Bianca
di Alessandro Gaeta
Vi presento una persona che riesce a vivere in sintonia con l’ambiente, rispettandolo e riuscendo anche a guadagnarci. Uno dei tanti che per fortuna popolano le campagne italiane anche se lui è davvero speciale. Si chiama Giovanni Bernardi e grazie ad una fornitura di ortaggi e verdura per l’American Academy di Roma è diventato alla lontana l’ispiratore dell’orto degli Obama alla Casa Bianca. Alla moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti ha fornito tramite l’allora direttrice dell’istituto semi e piante per le sue coltivazioni bio.
Tutto è nato agli albori del progetto Sustainable Food Project, quando l’American Academy invece di propinare a professori e studenti le classiche sbobbe all’americana decise di far entrare in cucina i fondamentali della dieta mediterranea (cereali, leguminose e ortaggi) in versione bio. A forza di cercare nei mercatini naturali chi potesse aiutarli a far partire il progetto, trovarono in quello di piazza della Moretta, nel centro storico di Roma, il poliedrico Giovanni che da allora divenne fornitore di materie prime e maestro di buona e sana agricoltura. Il bello è che Giovanni è riuscito a salire in cattedra nell’ambito di un’istituzione culturale che è emanazione del paese dove si è sviluppata (e purtroppo da lì esportata in tutto il mondo) la cosiddetta Rivoluzione Verde
BIOLOGICO DA SEMPRE
Nei suoi terreni a Pico, in provincia di Frosinone, Giovanni applica il metodo di coltivazione biologico sin dagli anni 80. Il risultato è che i suoi campi sono affetti da un creativo disordine botanico che gli agricoltori convenzionali guarderebbero con disgusto mettendo subito mano al diserbante. È quella biodiversità di cui in tanti si riempiono la bocca ma che pochi sanno garantire per davvero. Giovanni è uno di questi. La qualità dei suoi prodotti dura nel tempo e arriva nel piatto. E non solo perchè non usa prodotti chimici ma perchè si serve, nei campi, di un prezioso alleato: il sole. Neanche un metro quadro dei suoi terreni è ricoperto di plastica. Tutto ciò che riesce a nascere deve vedersela sin dall’inizio con i rigori della meteorologia: freddo d’inverno e caldo d’estate. E infatti le cassette che la moglie Assunta porta nei mercati naturali di Roma seguono esattamente l’avvicendarsi delle stagioni. Tra marzo e aprile trovi grandi ceste di borragine che Giovanni suggerisce di mangiare alla sua maniera.
L’IMPORTANZA DELLA ZAPPA
Gli ortaggi di Giovanni hanno dovuto faticare per crescere e sono molto robusti. Quando arrivano nel frigorifero non essendo gonfi d’acqua come quelli prodotti in serra durano tranquillamente due settimane. Il confronto con la verdura del supermercato è impietoso. Se compri una busta di spinaci nella grande distribuzione durano al massimo un paio di giorni. Quelli di Giovanni che ho comprato la settimana scorsa sono ancora vivi, vegeti e -provare per credere- ancora buonissimi. Poca acqua vuol dire anche pochi nitrati e poco arsenico di cui le nostre falde sono ormai ricchissime. Il metodo di Giovanni ha però un problema. Richiede sudore e fatica e l’uso della zappa, uno strumento antico come l’uomo che con la meccanizzazione agricola è andato in disuso. Nei terreni di Pico invece la zappa di Giovanni lavora senza sosta. E si vede perchè milimetro dopo millimetro ogni anno si accorcia.
E INOLTRE….
Il filmato che ho realizzato per Tv7 contiene anche le riflessioni di Vincenzo Vizioli, presidente dell’Aiab sul boom delle coltivazioni bio che adesso coprono quasi il 15 per cento della superfice agricola utilizzata. E non solo. Avendo il vizio di raccontare i fatti nel filmato c’è anche un passaggio dedicato allo scempio che Comune di Roma e Regione Lazio stanno commettendo sui terreni incontaminati di Castel di Guido. Un pezzo di far west alle porte di Roma dove pascolano tori e mucche maremmane quasi allo stato brado e che rischia il fallimento per l’incapacità del gestore pubblico di mantenere una grande azienda agricola biologica di proprietà di tutti noi.