Biodiversità del mais a rischio contaminazione da OGM

La biodiversità è ricchezza naturale. Quella di interesse agrario è stata conservata, riprodotta e selezionata da agricoltori e ricercatori e ha dunque molti padri e madri che l’hanno moltiplicata generazione (di semi) dopo generazione (di uomini e donne). Tra questi padri nobili, figurano anche due ricercatori, Nikolai Vavilov  e Jack Harlan, che a cavallo della metà Novecento hanno studiato, coniato e sviluppato i concetti di centro di origine e di diversificazione delle specie.

Ogni coltura, infatti, origina biologicamente e culturalmente in una determinata regione. Nel caso del mais, il mesoamerica rappresenta la sua culla di biodiversità. È lì che la specie si è evoluta naturalmente e poi coevoluta con le comunità locali grazie al lavoro di selezione svolto per millenni da mani indigene e contadine. È lì che l’agrobiodiversità si traduce per i sementieri in risorsa genetica, quel serbatoio di germoplasma utile a differenziare le varietà e ad evitare quella omogeneità genetica che nel 1970 portò alla decimazione dei raccolti USA di mais colpiti da un fungo (allora identificato nell’Helminthosporium maydis) provocando mancati redditi per 1 miliardo di dollari dell’epoca.

La biodiversità del mais è ora soggetta al rischio transgenico. Sin dal 1998 la Commissione Nazionale per la Biosicurezza, istituita dal governo messicano, aveva imposto una moratoria sulla coltivazione (anche sperimentale) di mais GM per proteggere il vasto e prezioso patrimonio di biodiversità che il Paese rappresenta per la coltura, ma già nel 2001 la rivista Nature pubblicò uno studio di due ricercatori dell’Università di Berkeley che dimostrarono l’inquinamento genetico del mais criollo a seguito di test effettuati in 22 comunità negli stati di Oaxaca e Puebla che rivelarono la presenza di contaminazione genetica in 15 di queste, con campioni giunti fino a livelli di contaminazione del 10%. I due ricercatori, per questa indagine, divennero oggetto di killeraggio scientifico.

Ora la minaccia assume proporzioni ben maggiori e difficilmente reversibili con la possibile imminente autorizzazione da parte del governo messicano di coltivazioni commerciali su larga scala di mais transgenico: il governo Calderón già nel 2009 aveva rimosso la moratoria e 177 sperimentazioni in campo aperto di mais geneticamente modificato sono state concesse a quattro aziende transnazionali (Dow AgroSciences, DuPont, Monsanto e Syngenta) che hanno recentemente anche chiesto l’ok per avviare la coltivazione di mais geneticamente modificato su 2,5 milioni di ettari. La deriva genetica dei suoi pollini sarebbe incontrastabile.

Un appello è stato lanciato dalla Unión de Científicos Comprometidos con la Sociedad (UCCS: www.uccs.mx) -e sottoscritto già da numerosi ricercatori e organizzazioni sociali- per prevenire qualunque coltivazione a fini commerciali o sperimentali in campo aperto di mais GM. Ci associamo a questo appello richiamando l’importanza strategica della diversità genetica e della sua tutela attraverso le parole di Jack Harlan: “la biodiversità si pone tra noi e una carestia catastrofica su una scala che non possiamo neanche immaginare”.

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