Prospettive di genere e agroecologiche nel settore primario

E se politiche, investimenti, ricerca avessero sempre puntato sul cavallo sbagliato? Commodities prodotte da grandi aziende vocate al mercato globale e condotte con grandi apporti di energia da imprenditori maschi: è questa l’immagine che ci è stata trasmessa nel corso degli ultimi decenni quale sviluppo inevitabile per il settore primario.

Due autorevoli documenti pubblicati nei giorni scorsi dalla FAO e dal Relatore Speciale dell’ONU per il Diritto al Cibo mettono in discussione questo assioma e ribaltano l’approccio all’individuazione di risposte e strategie.

Women empowerment: ovvero come puntare sulle donne per lo sviluppo rurale

La FAO ha pubblicato l’annuale rapporto sullo Stato del cibo e dell’agricoltura nel mondo (SOFA), nell’ultima edizione dedicato al ruolo delle donne in agricoltura. Dal linguaggio diplomatico dell’istituzione emerge con chiarezza che la promozione del genere femminile in termini di accesso alle risorse produttive produrrebbe una sensibile crescita della disponibilità di cibo e una conseguente riduzione del numero di affamati, stimata in 100-150 milioni di persone.

Le donne rurali sono impegnate in molti paesi in via di sviluppo in produzioni fondamentali per la sicurezza alimentare locale e famigliare, coprendo un ruolo estremamente significativo nella coltivazione di ortaggi e nel piccolo allevamento. Produzioni orientate sia a garantire reddito integrativo con la commercializzazione presso i mercati di prossimità che a migliorare la varietà nutrizionale della dieta famigliare, ma le donne spesso operano in condizioni di scarso o nullo accesso al credito e in assenza di titoli fondiari o di diretto controllo sule risorse produttive, limitandone l’autosviluppo e il potenziale contributo al benessere diffuso.

Investire nella loro promozione sociale, educativa, economica non risponde così solo a criteri di equità e di diritto, ma anche a istanze di interesse collettivo dell’intero genere umano.

Il SOFA 2010-2011 è scaricabile su:

L’agroecologia al servizio del diritto al cibo

Mentre i prezzi dei generi alimentari si infiammano, offrendo l’occasione per rinnovati appelli alla seconda rivoluzione verde (o greener revolution, la rivoluzione più verde) che reiterano l’apologia del pacchetto tecnologico a garanzia di quantità crescenti di produzione agricola (per sfamare esseri umani, animali, macchine. Nel loro insieme), il Relatore Speciale dell’ONU per il Diritto al Cibo spariglia le carte. “Gli agricoltori di piccola scala attraverso metodi ecologici possono raddoppiare la produzione di cibo in aree critiche”: è il succo dell’ultimo rapporto, basato su una “approfondita analisi della letteratura scientifica”, che Olivier de Schutter ha consegnato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Non lo si tiri per la giacchetta, ma sembra proprio un’autorevole replica a chi sostiene che solo l’intensificazione nell’applicazione dei fattori di produzione e una ‘modernizzazione’ tecnologica dei processi produttivi permetta di fronteggiare l’insicurezza alimentare. Tesi sostenuta anche nello speciale pubblicato dall’Economist, dove si concede alle ‘anime belle’ del biologico di offrire prodotti di qualità per il mercato dei Paesi industrializzati, pur nella strutturale incapacità di rispondere alla sfida del futuro del cibo.

Guardare alle compatibilità ambientale, climatica e sociale dell’intero processo di produzione, circolazione e consumo di alimenti è una utile lezione del prof. De Schutter.

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