Considerazioni di Vincenzo Vizioli, Consigliere FIRAB, in occasione della Conferenza Agricola promossa dal Partito Democratico il 16 febbraio 2024

Le proteste del mondo agricolo hanno sollecitato riflessioni nella società, sui media e tra le istituzioni. FIRAB segue da vicino il dibattito e si confronta con le rappresentanze, le aziende e il mondo associativo. FIRAB ha inoltre aderito all’invito di confronto sui temi agricoli lanciato dal PD lo scorso 16 febbraio, in occasione del quale Vincenzo Vizioli ha prodotto alcune considerazioni.

Accogliamo l’invito alla conferenza agricola con grande piacere e interesse, sperando che questo momento di confronto possa avere un seguito, visto che fino ad oggi lo scambio con il movimento del biologico e, per quanto ci riguarda sulla ricerca per il biologico e biodinamico, è stato difficile e carente.

Il dibattito in corso, sollecitato anche dal così detto “Movimento dei trattori” è, secondo noi, a dir poco fuorviante e, per molti versi, anche pericoloso. Sorvolando sulla provenienza politica, a noi molto lontana e ostile, c’è da rilevare subito un primo dato; a guidare questa protesta, oggi sono i proprietari di grandi e grandissime aziende che assorbono la gran parte dei fondi agricoli europei. In quelle piazze non ci sono e non sono rappresentate, le piccole aziende e tantomeno quelle che praticano il metodo biologico.

L’ISTAT ci dice che la dimensione media delle aziende italiane, non è quella rappresentata dai “trattori” ma poco superiore agli 11 ha. Sebbene in costante diminuzione sono quelle che garantiscono il governo del territorio e prendono le briciole della PAC. Quelle certificate biologiche che contribuiscono al contrasto ai cambiamenti climatici, hanno superfici medie maggiori, intorno ai 30 ha e con una presenza di donne conduttrici, superiore alla media. Ciò non toglie che anche queste sono in grande sofferenza per assenza di politiche mirate per il settore.

Sentire rappresentanti del Governo e deputati dichiarare “folli le politiche green dell’UE”, sapendo però che i media riporteranno il concetto in modo acritico e mescolando giusto prezzo con regole stabilite con il consenso di tutte le associazioni di categoria, perché annacquate rispetto al testo originale, fa quantomeno innervosire.

Chiedere di abolire gli avvicendamenti colturali come sostenuto anche dal presidente di Confagricoltura “fateci produrre grano e non favette che non le vuole nessuno” certifica l’incapacità di guardare non solo al futuro ma alla situazione pedoclimatica odierna. Dal 39 AC quando i georgici romani, scrivevano “la terra si riposa producendo cose diverse”, non esiste testo di agronomia, che consigli la monocultura e non metta in guardia dalla monosuccessione. 

Assumere come vittoria del movimento il fallimento dell’obbiettivo di ridurre del 50% i pesticidi al 2030, con il compiacente voto trasversale di euro parlamentari italiani, anche del PD, ci preoccupa ulteriormente in quanto la direttiva SUR era stata già demolita e resa inoffensiva, rendendo impossibile il raggiungimento di quell’obbiettivo, per altro indispensabile. Chi ha prodotto questo risultato non smette però di parlare di agricoltura sostenibile, sempre che questo aggettivo abbia ancora un significato.  

Stiamo sdoganando gli NBT (i nuovi OGM) mettendo in mano alle multinazionali ancora più potere per distruggere la biodiversità. Eppure nessuno ad oggi può conoscerne l’effetto sull’ambiente a lungo termine, nonostante numerose pubblicazioni parlino di mutazioni anche in siti non oggetto della CRISPR-Cas9. Nessuno ricorda poi, che i vecchi OGM millantati, come i nuovi, per risolutivi di tutti i problemi, dopo quasi 30 anni di commercializzazione e uso agricolo hanno mantenuto una sola promessa: il brevetto sulla proprietà dei semi e la resistenza agli erbicidi, anzi praticamente a un solo erbicida. Si dimentica altresì che oltre al fallimento, la risposta dei consumatori è stata il rifiuto.

Sempre con il compiacente contributo trasversale di Governo e parlamentari italiani è stata rinnovata per altri 10 anni la licenza del glifosato (dopo 40 anni di uso dello stesso p.a. qualcuno parla ancora di innovazione in agricoltura) nonostante le numerose prove della sua pericolosità. Ultima la cancerogenicità sui topi certificata dalla ricerca dell’Istituto Ramazzini. Il Glifosate è il primo principio attivo che l’ISPRA ritrova in costante aumento nelle acque superficiali e il secondo in quelle profonde, perché al primo posto c’è l’atrazina, il cui uso è vietato dal 1990.

Il principio di precauzione è stato invocato per una cosa che non esiste: “la carne coltivata” ma non su un problema che tocca la salute dell’uomo e dell’ambiente, a garanzia del portafogli delle Multinazionali.

Nessuno dice che la messa a riposo del 4% dei terreni comprende tare e incolti e, nell’ottica degli obbiettivi stabiliti dal Farm to Fork, serve proprio a garantire “corridoi umanitari” alla biodiversità in aziende che hanno avvicendamenti molto corti, con ricorso massiccio ai diserbanti.  

Vogliamo poi ricordare che questa PAC nasce da un’indagine dell’UE nel 2018 che chiedeva ai consumatori europei cosa si aspettassero dalla politica agricola europea, ricevendo il numero più alto di risposte, rispetto a tutte le indagini svolte, (Italia terzo paese per numero di risposte dopo Germania e Francia), sintetizzate nelle parole: Ambiente, Biologico, Salute, NO OGM, meno pesticidi. Queste che qualcuno rivendica come “vittorie” umiliano i cittadini consumatori.

Il giusto prezzo è invece la rivendicazione da sostenere evitando la cortina fumogena che intende far credere che è tutto colpa della politica UE. Il problema è il sistema capitalistico di determinazione del prezzo e di chi accetta che il valore di beni di prima necessità, come ad esempio, il grano, siano oggetto di speculazione finanziaria, con le quotazioni sui futures alle borse merci di Chicago e Parigi. Anche il Bio risente pesantemente di questa omologazione del mercato alle regole liberiste e i prezzi pagati alla produzione sono crollati da quando la GDO controlla il 60% di questo mercato, il che corrisponde anche all’uscita di molte piccole aziende dal bio. “Gli imprenditori agricoli si devono mettere in filiera” è il suggerimento della Coldiretti a cui nessuno chiede di chi è la Federconsorzi che acquista il grano a prezzi che non coprono il costo di produzione

Chiudiamo con una provocazione, non del tutto aleatoria. Tutte queste aziende che ritengono che gli impegni agroambientali siano causa di tutti i problemi, prendendo da almeno 10 anni ingenti contributi per diminuire l’impatto ambientale dell’agricoltura, anche sottoscrivendo limitati impegni privi di ferrei controlli, con questa PAC si trovano impegni leggermente più stringenti a cui corrispondono premi, anche significativi, per perseguire l’obbiettivo del contrasto ai cambiamenti climatici. Se tutto questo è sbagliato e messo in discussione, vuol dire che gli agricoltori convenzionali dovranno rinunciare ai premi e si dovrà riscrivere la PAC, negando l’evidenza scientifica che l’agricoltura intensiva contribuisce all’emissione dei gas serra!  

Siamo coscienti che questo contributo è, per necessità, schematico e lacunoso ritenendo però che una interlocuzione, fino ad ora molto poco praticata, possa portare ad un ragionamento più efficace a partire dal nostro specifico che è la ricerca e la divulgazione di buone pratiche agronomiche, neanche a dirlo con risorse molto limitate. FIRAB ha assunto un ruolo nel disegno della strategia di ricerca europea sul biologico a valere sui prossimi 10 anni: saremo lieti di discuterne progresso e risultati in ogni occasione di confronto.

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