Luca Colombo
Coordinatore Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica
Non bisogna provare troppo astio nei confronti degli OGM. La loro diffusione commerciale ha in fondo offerto uno spunto utile a dare forma a una riflessione strutturata e a una consapevolezza matura su ratio, protagonisti e prospettive dei sistemi agroalimentari, permettendo il materializzarsi di fenomeni inediti: non tanto quelli relativi alla transgenia o alla brevettazione del vivente, sconosciuti per quattro miliardi di anni di evoluzione e diecimila di agricoltura fino al loro debutto negli anni ‘80, quanto alle modalità con cui la società reagisce a una espropriazione dei propri diritti alimentari.
L’Italia offre a tal proposito un ottimo esempio avendo assistito al lievitare di una consapevolezza diffusa, di una convergenza di interessi sociali ed economici e di un dispiegamento delle istituzioni che nel loro complesso si sono posti a tutela di un’idea di agricoltura e alimentazione fondata sull’autenticità. Tali percorsi hanno permesso la costruzione di una risposta alle colture transgeniche poggiata su quattro pilastri: costruzione del consenso attraverso una socializzazione dell’informazione disponibile, costituzione di un blocco sociale eterogeneo e maggioritario nella società, capacità di dialogo e confronto serrato con le istituzioni nazionali e territoriali, presidio del territorio attraverso la mobilitazione degli Enti Locali.
La vicenda OGM ha dato infatti vita a un fenomeno di resistenza attiva a tutela di una cultura dell’alimentazione radicata nei saperi contadini e nei sapori delle campagne. Un atteggiamento che si è incardinato sulla legittima e necessaria logica del rifiuto di una tecnologia fallace e del paradigma di stampo totalitario che la vuole imporre, determinando risultati di grande nettezza: in Italia non si coltiva un solo ettaro a OGM, vi è una sostanziale consunzione della sperimentazione di coltivazioni transgeniche in campo aperto, le porte secondarie di ingresso agli OGM (come la contaminazione delle sementi) sono vigilate dalle autorità doganali e agricole, l’industria alimentare così come la grande distribuzione organizzata hanno adottato rigorose politiche di esclusione di ingredienti transgenici dagli alimenti che commercializzano, i cittadini risultano informati, consapevoli e massicciamente schierati contro la loro presenza nei campi e nei piatti. Ad oggi, gli OGM si declinano sostanzialmente ‘solo’ nelle importazioni di soia transgenica destinate a nascondersi nella mangimistica zootecnica.
Un risultato ascrivibile ad alcuni elementi chiave: sensibilità diffusa tra i cittadini sul tema alimentare, protagonismo di organizzazioni strutturate, dialogo sociale, approfondimento culturale e scientifico, osmosi socio-istituzionale, accentuazione del dato di mercato con un’esibizione muscolare degli interessi economici in nome delle preferenze dei consumatori. Una reazione che ha sbarrato la strada all’ingresso di OGM del Golia multinazionale: Davide si è armato di due sacchetti della spesa interponendosi all’avanzata della colonna dei panzer, pochi lustri dopo Tien an men.
In Italia, dove stando alle rilevazioni di Eurobarometro promosse dalla Commissione Europea il 76% dei cittadini si dicono contrari e preoccupati in tema di OGM, gli orientamenti di consumo sono stati dunque assunti in tutta loro dignità di valore guida delle scelte politiche ed economiche e sono stati coerentemente decodificati dagli attori della filiera agroalimentare e dalla maggioranza dei rappresentanti istituzionali, in particolare a livello di Enti Locali, in termini di tutela del preesistente patrimonio enogastronomico, agroambientale e financo culturale.
Un’azione di interdizione il cui valore non va circoscritto ai soli confini nazionali, in quanto l’Italia è un’icona mondiale del buon cibo ed eventuali cedimenti del Paese a favore degli OGM rappresenterebbero una conquista importante da rivendicare su scala globale.
L’Italia non ha però solo dato vita a una fase di resistenza, di lotta partigiana, ma ha anche dato vita a una stagione costituente a partire dalla quale varare scelte socialmente condivise su cosa mangiare e come coltivare.
Nel corso dei 3 lustri di reazione all’offensiva transgenica sono infatti cresciute le occasioni di avvicinamento tra organizzazioni caratterizzate da mandato sociale, profilo e obiettivi diversi che sul fronte della lotta agli OGM hanno identificato un importante denominatore comune. Si sono così nel tempo moltiplicate le convergenze puntuali e le alleanze trasversali determinate da specifiche emergenze politiche o da fattori esterni: si pensi alla richiesta di falciare i campi e risarcire quei coltivatori di mais che nel 2003 incolpevolmente seminarono lotti del cereale contaminati da OGM, poi trinciati per ordine delle autorità pubbliche al fine di evitare la diffusione della contaminazione. Progressivamente, quella che costituiva una convergenza tattica e congiunturale andava assumendo i tratti di un’alleanza forte volta a costruire una prospettiva di sviluppo del sistema agroalimentare fondato sulla qualità, la territorialità, la sostenibilità sociale ed ambientale, oltre che libero da OGM. Un percorso di avvicinamento tra organizzazioni della società civile in controtendenza in un Paese che il Censis, uno dei più qualificati centri studi sociologici italiani, definiva nel 2007 “mucillaginoso” e “disgregato”.
Proprio nel 2007 si avviava in Italia una grande consultazione nazionale che poneva la vicenda OGM in relazione al modello di sviluppo agroalimentare, riconoscendo in questo percorso l’occasione per definire un nuovo patto fondativo con cui la società italiana, nelle sue forme di rappresentanza civile, sociale e istituzionale, disegnasse l’orizzonte di sviluppo di quel pezzo di realtà produttiva e di consumo su cui è ancorata la sopravvivenza individuale e collettiva: il cibo. La consultazione fu promossa dalla coalizione ItaliaEuropa-liberi da OGM, 32 organizzazioni del mondo agricolo convenzionale e biologico, dell’artigianato, della grande distribuzione organizzata, dell’ambientalismo, del consumerismo, della cultura, della solidarietà e della cooperazione internazionale. Uno schieramento che difficilmente si sarebbe potuto costituire se la minaccia rappresentata dalle colture transgeniche non avesse facilitato l’avvicinamento e il dialogo fra organizzazioni con ruolo, base sociale, presupposto culturale e politico diverso e in un recente passato anche talvolta in conflitto tra loro.
La convergenza tra organizzazioni agricole (alla Coalizione aderirono le due organizzazioni professionali maggioritarie in termini di associati e la più grande e rappresentativa associazione del biologico), associazioni ambientaliste e di consumatori, per citare alcuni dei principali stakeholder che ne fecero parte, era impensabile solo 20 anni prima quando si fronteggiavano duramente sull’impiego della chimica in agricoltura o su qualità e prezzi degli alimenti. E invece il banco di prova di quel tentativo di aggregazione fu sintomaticamente offerto proprio dal biologico in occasione della mobilitazione volta a difenderlo in Europa dall’introduzione di una soglia di tolleranza per gli OGM dello 0.9%, in ottusa sintonia a quanto previsto per l’etichettatura degli alimenti convenzionali, riportando lo straordinario risultato del voto del Parlamento Europeo che sanciva lo zero tecnico di contaminazione, poi vanificato in sede di Consiglio d’Europa (con il voto contrario italiano).
La resistenza nei confronti degli OGM, riconosciuti come una minaccia comune, ha così generato un elemento aggregante prezioso, aiutando a mettere in rilievo la comunanza di interessi e sensibilità diffuse nel Paese, seppur talvolta riconducibili a visioni parziali, cementando un corpo sociale ampio e variegato, molto sfilacciato negli ultimi decenni.
La scommessa della consultazione nazionale fu nel proporre al Paese due mesi di dibattito civile direttamente partecipato dai cittadini per informarsi e ragionare sui temi agroalimentari. Nel corso della consultazione realizzatasi nell’autunno del 2007, si è dunque avuta una proliferazione di iniziative sul territorio con centinaia di assemblee, convegni, seminari, rassegne, appuntamenti culturali ed eno-gastronomici disseminati nei grandi centri e nei piccoli borghi rurali, durante i quali i cittadini italiani hanno avuto occasione di informarsi, prendere parola e infine esprimere le proprie preferenze e aspettative in ordine al modello di sviluppo da perseguire per il sistema agroalimentare. Tali preferenze potevano essere testimoniate attraverso una scheda equivalente a quella in uso per i referendum su cui venivano chiesti ‘voti-firmati’, ossia non anonimi, sulla scorta di un quesito: “Vuoi che l’agroalimentare, il cibo e la sua genuinità, siano il cuore dello sviluppo, fatto di persone e territori, salute e qualità, sostenibile e innovativo, fondato sulla biodiversità, libero da OGM?”.
Si trattava in sostanza del tentativo di far emergere e raccogliere i convincimenti delle persone e delle comunità ben oltre la mera questione OGM, traguardando la traiettoria di sviluppo complessivo del Paese, le logiche con cui vengono assunte decisioni politiche ed economiche, il ruolo della rappresentanza sociale e politica, la democrazia partecipata e il protagonismo sociale.
La preparazione dell’iniziativa ha richiesto alcuni mesi di lavoro di concertazione e costituzione della coalizione, di definizione organizzativa e di incontri con il mondo istituzionale e politico, dell’industria, della ricerca e dei media che si sono protratti anche nel corso dello svolgimento della Consultazione: sono infatti avvenuti colloqui con i presidenti delle due Camere del Parlamento, con rappresentanti del governo, dei partiti di maggioranza e di opposizione, con Assessori regionali, con i Direttori delle principali testate della carta stampata e della televisione.
L’Italia, sotto questo profilo, ha messo in campo un esperimento democratico: se il cibo è stato il banco di prova per verificare se e come a un’ampia consultazione si possa affidare il ruolo di incubatore delle decisioni, questa pratica deliberativa si è dimostrata praticabile e replicabile su temi altrettanto cruciali, come le scelte energetiche o lo stato sociale. Pur se in una modalità peculiare e di grande scala è infondo quanto anche altri paesi stanno sperimentando nel Nord come nel Sud del mondo sotto forma di commissioni cittadine, conferenze di concertazione, giurie civiche, laboratori sugli “scenari futuri” o referendum per cogliere e portare a sintesi la diversità di interessi diffusi. E l’esperienza si può leggere anche con un’altra chiave di lettura: la battaglia italiana sul fronte OGM rappresenta una delle manifestazioni più coerenti ed evidenti del perseguimento di una sovranità alimentare ispirata al diritto di scegliere cosa coltivare e mangiare, riconoscendo in questo principio ispiratore dell’azione politica e produttiva un elemento di riappropriazione dei destini alimentari di un popolo.
L’esperienza della Consultazione ha prodotto un’inerzia positiva utile a mantenere tuttora lo status OGM-free dell’Italia, ma ha anche subito alcuni contraccolpi figli di personalismi, di contese per leadership e visibilità di cui è bene dare conto e serbare memoria. Ora la mobilitazione si aggrega intorno a una cosiddetta “Task Force antitransgenica” che interviene in chiave più opportunistica in occasione di eventi o congiunture che richiedono un intervento deciso. Un esempio di una tale iniziativa è stato offerto dalle semine illegali di mais transgenico avvenute nel 2010 in Friuli, nel nord-est del Paese, quando l’Italia ha subito un tentativo di forzare la mano con la messa a coltura di mais MON 810 su alcuni ettari da parte di alcuni agricoltori che hanno fatto dell’apertura al biotech una loro (o altrui) missione. La provocazione è stata raccolta dal fronte sociale antitransgenico che ne ha fatto un caso nazionale risvegliando le istituzioni agricole e rendendola un boomerang: pur con grave ritardo i campi transgenici sono stati posti sotto sequestro, il raccolto requisito e posto in quarantena, l’agricoltore condannato penalmente e multato per 25.000 euro, 52 organizzazioni sociali del Friuli hanno promosso una proposta di legge regionale recepita in gran parte e votata nel 2011 dal Consiglio Regionale così sancendo l’indisponibilità futura del territorio friulano alla coltivazione di OGM.