I boss di 12 multinazionali, tra le più note e non necessariamente dalla reputazione più cristallina, hanno firmato un documento comune indirizzato ai vertici delle istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio), in qualità di “maggiori investitori in innovazione in Europa” in forza di 21 miliardi di investimenti in ricerca, sviluppo e produzione di beni e servizi, come elegantemente sottolineato. Il documento è dettato dalla preoccupazione per “gli impatti negativi dei recenti sviluppi nella gestione del rischio e nelle politiche regolatorie” in tema di innovazione. Lo rendono noto il Financial Times e in Italia la rivista Valori.
A risiko si definirebbe attacco in massa al principio di precauzione, quando la carta obiettivo dice che lo devi distruggere.
Scrivono in vista del Consiglio Europeo che prossimamente discuterà i temi dell’innovazione, proponendo di sovrapporre al Principio di Precauzione il loro Principio per l’Innovazione ogni volta che il primo viene invocato nelle politiche e nei processi normativi. 7 raccomandazioni chiave vengono formulate volte a spianare la strada all’innovazione tecnologica rimuovendo ostacoli pretestuosi posti da chi non si adatta all’idea che viviamo (bene) nella società del rischio. La settima di queste raccomandazioni suggerisce di fornire un potere formale al Chief Scientist della Commissione Europea per “rivedere l’uso dell’evidenza scientifica nella legislazione, regolazione e decisione amministrativa della gestione del rischio e richiedere ulteriore valutazione scientifica quando appropriato”. Per coglierne meglio la sfumatura, può essere utile richiamare quanto scrive sempre sul Financial Times la stessa Anne Glover, chief scientific advisor del Presidente della Commissione Europea, che si chiede il perché “le persone sembrano avere un problema di fiducia nell’industria in relazione alla sua influenza nella definizione delle politiche. Why is this so?”, si domanda. Invoca pertanto l’”open policy making” dove ognuno possa contribuire e di cui ognuno si possa fidare, un po’ come avviene con Wikipedia, citata a (s)proposito. Che sia anche tema di rapporti di forza, penetrazione lobbystica, disparità di risorse in campo, sensibilità del legislatore al fascino corruttivo, sembra contare poco.
Proprio in tema di contiguità, lo scambio sulle pagine del FT tra multinazionali e lo scienziato di riferimento della Commissione Europea appare dunque una simpatica coincidenza.
Tutto questo avviene mentre a fatica si cerca di dare senso e sostanza ai Partenariati Europei di Innovazione (PEI), concetto che in Europa interessa il tema della senilizzazione della società, delle città e comunità ‘smart’, dell’acqua, delle materie prime. E della produttività e sostenibilità agricola.
Lo scopo dei Partenariati Europei di Innovazione (PEI) in materia di produttività e sostenibilità agricola è di contribuire a colmare le distanze tra ricercatori, agricoltori e altri portatori di interesse nel mondo rurale attraverso un’interfaccia operativa che permetta interazione volta alla condivisione di conoscenze e innovazioni.
Due strumenti di politica europea sono identificati a tal fine: la politica UE di ricerca e innovazione (Horizon 2020) e i Programmi di Sviluppo Rurale (2014-2020). I PEI nell’ambito agricolo rappresentano in effetti un ponte tra le politiche di ricerca e quelle di sviluppo rurale. Attraverso i PEI si intende infatti rimuovere uno dei frequenti ostacoli ai processi innovativi: la distanza tra i risultati della ricerca e l’adozione di nuove pratiche/tecnologie da parte degli agricoltori e del sistema di imprese. A maggior ragione, possono costituire occasioni di condivisione di pratiche innovative aziendali e di dinamizzazione delle relazioni nel/del mondo rurale.
Stando alle definizioni in uso, i PEI si costruiscono seguendo un “modello di innovazione interattiva”: l’esigenza è pertanto quella di realizzare una transizione che faciliti il passaggio da una logica ‘lineare’ (che prevede la separazione delle mansioni tra chi produce i risultati di ricerca, chi li trasferisce e chi ha il compito di adottarli) ad una logica ‘circolare’.
Il biologico si muove precipuamente nel solco di questo approccio innovativo e da diversi anni ne costituisce un’avanguardia operativa creando occasioni di incontro tra attori diversi, facilitando l’elaborazione di metodologie partecipative, mobilizzando diverse fonti di conoscenza, articolando i sistemi di sapere e negoziando valori e obiettivi così da sviluppare soluzioni adatte, adattabili e adottabili dal punto di vista tecnico, economico, ambientale e sociale.
Il biologico si pone all’avanguardia per l’innovazione interattiva anche perché costituisce il settore che vive forse la più grande contraddizione o paradosso in termini di scarsità degli sforzi di ricerca (formale) e di ricchezza di pratiche e saperi locali. Con buona pace per i 21 miliardi di euro dei 12 apostoli dell’innovazione tecnologica.
La sporca dozzina era film di Guerra della fine degli anni ’60 con il mitico Ernest Borgnine. È divenuto successivamente slogan di una campagna volta a vietare alcuni pesticidi particolarmente tossici e nocivi. Siamo ora al revival con l’attacco con mezzi pesanti delle corporations a istituzioni e cittadini europei.
p.s. le firme sul documento sono le seguenti:
Dr. Marijn Dekkers, Chairman of the Board of Management, Bayer AG
Kurt Bock, Chairman of the Board of Executive Directors, BASF SE
Dr. Hlega Rubsamen, Chief Executive Officer, Curis GmbH
Andrew Liveris, President, Chairman and Chief Executive Officer, The Dow Chemical Company
Robert Hansen, Chief Executive Officer, Dow Corning Corporation
Antonio Galindez, President and Chief Executive Officer, Dow AgroScience LLS
Kasper Rorsted, Chief Executive Officer, Henkel AG & Company
Harry van Dorenmalen, Chairman, IBM Europe
Joseph Jiminez, Chief Executive Officer, Novartis AG
Questo articolo è stato pubblicato su huffingtonpost.it
Frans van Houten, President and Chief Executive, Royal Philips
Jean-Pierre Clamadieu, Chief Executive Officer, Solvay S.A.
Michael Mack, Chief Executive Officer, Syngenta AG