Ad un biologico da paura, abbiamo l’UOVO di COLOMBO: BIO, logico!

Luca Colombo, segretario generale FIRAB, risponde oggi su “Il Manifesto” agli attacchi e shitstorm vari contro il bio de “Il Foglio” scatenati da un breve articolo su l’Extraterrestre de Il Manifesto di giovedì scorso, 17 gennaio, in cui Luca Colombo accennava al tentativo in atto di ‘biocidio’ mosso contro il biologico (qui per approfondire: Biocidio in corso, un insulto alle intelligenze).

Gli amici de “Il Foglio” sono terrorizzati dal biologico

su L’Extraterrestre de Il Manifesto

Che la guerra al biologico sia ripresa negli ultimi mesi dispiegando tutto l’arsenale disponibile e ammassando le truppe di riserva lo si era capito dalle reazioni rabbiose alla campagna Cambia la Terra, sulla ripartizione dei finanziamenti pubblici nel sistema agroalimentare, o al convegno promosso dall’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica presso il Politecnico di Milano, reo di cercare un confronto sul metodo biodinamico proprio in una sede, l’Università, dove le idee devono misurarsi e le convinzioni fare i conti con le evidenze.

Con più miti ambizioni, anche un breve articolo su questo settimanale con cui si accennava al tentativo in atto di ‘biocidio’, è stato impallinato con furore dalle colonne de Il Foglio di sabato 19 gennaio, tramite la penna di uno degli alfieri italici del transgenico, prendendosela direttamente con il suo autore, il sottoscritto.

Rimestando con gusto nel cornoletame, lo shitstorm su Il Foglio mescolava i piani personali con quelli legati alla Fondazione di ricerca in cui opero (firab.it) e quelli di cui sarebbero responsabili altre realtà dell’arcipelago biologico, come il biodinamico. L’articolo è un campionario di accuse, letteralmente da sinistra a destra: dall’intellettualismo salottiero gauchista, al lobbysmo filibustiere, al sovranismo interessato alla purezza dei semi come della razza, fino a sconfinare nel Terzo Reich teutonico e nei cliché sulla difesa di tipicità, tradizione e kmzero. Tutto questo non era nel mio articolo e non rientra nel mio vocabolario.

Non ritengo un onore personale l’essere divenuto bersaglio, piuttosto vi riconosco uno stile in cui (c)onta il risultato, ovvero usare espedienti per tenere il biologico sotto tiro cercando di eroderne la crescente legittimazione sociale.

Perché?

Facile pensare che un settore che da 10 anni cresce come nessun altro in Europa in termini di mercato, operatori e superfici, che è divenuto presenza costante nel marketing agroalimentare e nella pubblicità, che si è affermato nel dibattito sul cibo e che è considerato avanguardia di sostenibilità nel confronto sulle politiche pubbliche, attragga risentimento e calunnia.

Ma questo farebbe solo giustizia degli istinti retrivi, senza dar conto degli elementi di posizionamento strategico. Il sistema agroalimentare nutre persone e animali; muove un pezzo significativo dell’economia; gestisce il territorio rurale e pezzi di quello urbano; interviene su risorse naturali delicate e sempre più preziose come suolo, acqua, biodiversità; ha un’interfaccia primaria con il clima; regola rapporti geopolitici; genera occupazione e anche molta schiavitù. Questo investe apparati, interessi, carriere. Stabilirne gli indirizzi e i beneficiari è quindi questione dirimente.

Suscita squallore, ma non stupore, quindi, che in queste ultime settimane si scateni un tale fuoco di sbarramento proprio in occasione del passaggio di testimone tra Camera e Senato del testo unificato per lo “sviluppo e la competitività” del biologico, approvato in prima lettura con un’ampia maggioranza bipartisan. È di questi giorni la petizione sottoscritta da diversi ricercatori, tecnici e agricoltori che ne chiede il ritiro dalla discussione parlamentare. Una norma, per essere chiari e rimuovere il fango, che non garantirà prebende a Firab (come ad altri nel settore), in quanto la Fondazione alimenta la propria attività soltanto con progetti di ricerca e innovazione su bandi competitivi europei e nazionali.

La proposta di legge intende piuttosto qualificare il settore biologico, affinando il quadro nazionale rispetto a quanto previsto dal Regolamento UE 2018/848, in vigore dal 2021, e ritoccando appena la norma fatta naufragare all’ultimo miglio nella scorsa legislatura. Come allora, non mette a disposizione risorse aggiuntive, anzi diluisce quelle esistenti; non sancisce opportuni impedimenti all’agricoltura chimica laddove minaccia la contaminazione di prodotti bio o il pregiudizio di risorse naturali; non definisce impegni per la ristorazione collettiva di persone vulnerabili come bambini, anziani o malati. Cerca, in sostanza, di fare ordine e di offrire un quadro più nitido, anche tramite un marchio per il prodotto italiano biologico.

Sovranista? Di certo un cibo anonimo, apolide e asettico non rappresenta l’anticorpo all’egoismo e all’isolamento. Anzi, oltre a dare identità geografica e di metodo di coltivazione, sarebbe opportuno che nei processi di produzione e nell’informazione collegati al cibo si integrassero elementi di trasparenza sulla qualità del lavoro e sull’equità di filiera. Aiuterebbero a ripristinare i diritti nelle campagne e a darvi senso.

Ma alle porte non c’è solo l’iter legislativo sul biologico al Senato, ma anche la definizione della nuova Politica Agricola Comune (PAC), la più durevole politica che incardina il disegno europeo di armonizzazione di scelte e obiettivi su sicurezza alimentare e sviluppo dei territori rurali. La definizione degli aspetti tecnici della nuova PAC dovrà attendere che si riassestino Parlamento e Commissione Europea e, a questo punto, anche le sorti del Regno Unito, ma sono già cominciate le schermaglie e le mosse di posizionamento per accaparrarsi quanto più dell’allocazione di quasi un terzo del bilancio europeo. Non gli spiccioli della legge sul biologico italico, ma ingenti risorse pubbliche che concorrono a decretare vincitori, vinti e residuali del e nel sistema agroalimentare. Il credito attribuito al ruolo crescente del biologico e alla sua riconoscibilità sociale in una fase storica in cui si deve assicurare la liceità delle politiche europee è uno spettro che si aggira negli ambienti della conservazione.

Fatte le debite proporzioni, anche l’allocazione degli stanziamenti della ricerca può rappresentare un plausibile motivo di belligeranza: nei bandi di Horizon2020, il programma di ricerca europeo, crescono i temi dedicati al biologico o per i quali questo dimostri di offrire prospettive efficaci, concorrendo con le usuali frontiere tecnologiche su cui si continua a costruire il tradizionale discorso sull’innovazione. Lungi dall’essere negletto, l’apparato tecnico-scientifico convenzionale si sente insidiato.

Aggiungiamo infine la stretta giuridica sul nuovo biotech, ai sensi della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2018, o sui pesticidi, come da divieto di commercializzazione del famigerato glifosate imposto la settimana scorsa da un tribunale francese per ragioni di salute pubblica?

Le sfide cui dar risposta, d’altronde, sono notevoli: crisi climatica, epidemia di obesità e di malattie non trasmissibili legate alla scorretta alimentazione, sparizione di biodiversità di cui la moria di api è il più sonoro campanello di allarme, processi di desertificazione, inquinamento agrochimico delle acque, superprelievo ittico e concentrazione pestilenziale di allevamenti sono tra i più gravi problemi di cui è imputabile il sistema alimentare dominante. Non conforta dirlo, ma il biologico non li condivide né come responsabilità né come destino, anche perché intende piuttosto rappresentare una risposta non riconducibile alla mera tecnica e al metodo, ma elevata a modello di sviluppo, alimentare ed ecologico.

Per questo, visto che il dileggio è sempre un’arma a doppio taglio, le reiterate allusioni fatte su Il Foglio alle uova accostate al mio cognome, non tengono bene in conto la saggezza popolare: l’uovo di Colombo rimanda a soluzioni semplici per problemi che paiono irrisolvibili.

E quell’uovo non potrà che essere bio.

Luca Colombo

 

Per approfondimenti, leggete su L’Extraterrestre de Il Manifesto di oggi, 24 gennaio, di cui riportiamo la prima di copertina.

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