Agroecologia. Questa misconosciuta, duttile, abusata promessa

showthumb-2L’agroecologia ha un pedigree antico, secoli di pratiche, cent’anni di conio, trenta di teorizzazione, venti di adozione dei movimenti sociali, altrettanti di dibattito scientifico. E anche alcuni di qualche sdoganamento politico, visto che ora fa tendenza.

Luca Colombo, Segretario della Fondazione FIRAB, in occasione del Simposio Europeo di Budapest (23-25 novembre) che la FAO ha promosso per declinare in salsa europea un concetto divenuto à la page e per questo non poco abusato, prova a fornire una chiave di lettura, su L’Huffington Post, di uno dei concetti che meglio si sono espressi per il loro carattere innovativo, la propria caratteristica di trasformazione sociale e di alternativa al modello agroindustriale.copertina

 

Pur concedendo che non sia tuttora pienamente riconosciuta (non ultima dal correttore ortografico di quella Microsoft dei coniugi Gates appassionati di Nuova Rivoluzione Verde), l’agroecologia sta ricevendo crescenti attenzioni in contesti sociali, scientifici e di governance: solo per citare alcuni riferimenti recenti, la FAO ha promosso nel settembre 2014 un simposio internazionale; l’ex relatore Speciale dell’ONU sul Diritto al Cibo vi ha dedicato un Report monografico e nella sua ultima relazione l’ha specificamente evocata tra le strategie chiave di sicurezza alimentare; il governo francese l’ha adottata quale programma agricolo di riferimento, stanziando fondi e dispiegando il suo consistente apparto di ricerca; McDonalds Francia l’ha posta al centro della sua strategia 2010-’20; La Via Campesina l’ha eletta quale principale pratica agro-militante e i movimenti sociali vi hanno consacrato un Forum internazionale in Mali a inizio 2015 per lanciarne l’agenda politica e radicarne l’azione operativa.

A sua volta, l’arcipelago del biologico lavora sul piano delle convergenze tecniche e valoriali.

Se l’agroecologia rischia dunque di essere sussunta da consessi mainstream, non vi va confusa.

Per questo si è cominciato a distinguere un’agenda agroecologica “trasformativa” da quella “trasformista”, risolvendone la rischiosa duttilità.

Per non piegarla all’interesse del regime agroindustriale dominante (di cui è esempio eclatante la charte qualité agroécologique di McDonalds Francia) le si deve assegnare il ruolo di agente di cambiamento volto a riformare radicalmente proprio quel regime. Una sua interpretazione autentica, dunque, permette di comprendere chiaramente come non rappresenti un tentativo di conciliazione della sostenibilità con l’agricoltura intensiva fondata sulla produzione di commodity, quanto un appello a una metamorfosi più profonda dell’agricoltura e del sistema alimentare: tra tensioni e contraddizioni, l’agroecologia diviene così oggi una delle proposte più dinamiche e suadenti per l’uscita dal cul de sac produttivista ed estrattivista dell’agricoltura.

Per dirla come gli anglosassoni (che poi lo mutuano dal latino), è giunto il momentum per l’agroecologia.

D’altronde, che l’attività agricola si innesti su un tessuto di dinamiche e relazioni ecologiche può apparire lapalissiano. Ma che lo faccia nel loro rispetto, meno. E che ne consideri vincoli e potenzialità, ancora meno. Per questo le ragioni dell’agroecologia non vanno scambiate per una formula tautologica, ma come la rigenerazione di un approccio all’attività primaria che faccia leva sul (e faccia i conti con il) contesto ambientale del luogo di coltivazione e allevamento. Nei limiti del possibile, del luogo di coltivazione & allevamento.

L’enunciazione più ricorrente, promossa dal decano dell’agroecologia Miguel Altieri, la vede come “l’applicazione della scienza ecologica allo studio, alla progettazione e alla gestione dell’agricoltura sostenibile”. Originariamente incentrata sull’analisi degli agroecosistemi e del loro funzionamento, l’agroecologia ha inizialmente mirato a produrre e mettere in rete conoscenze e pratiche che fornissero gli strumenti per rendere l’agricoltura più compatibile con il contesto ecologico del territorio di produzione.

Ha successivamente travalicato i confini aziendali e oggi se ne discute tessendo in un’unica trama produzione primaria, filiera e cittadini-consumatori, includendo così le dimensioni sociali, economiche e politiche del sistema alimentare. L’agroecologia esce quindi da un mero quadro disciplinare e tecnico volto a gestire l’attività primaria, aprendosi a una ben più ampia modalità chiamata a traguardare tutto il sistema alimentare, di cui si constata l’insostenibilità.

Un food system da riformare nelle sue componenti agroambientali e socioeconomiche, oltre che da proiettare verso nuovi e più equilibrati rapporti lungo la catena del valore. Una proposta, quindi, che ha l’intento di rimettere in discussione e riformulare i presupposti strutturali del sistema agroalimentare nel quadro di una coerenza etica nelle dimensioni tecniche, ecologiche, sociali e politiche. Perché cibo e agricoltura sono mondi ad alta intensità politica, soprattutto quando si ignora che lo siano lasciando mano libera a chi li vuole sterilizzare, anche fuor di metafora.

La trinità agroecologica. Non è dunque un caso che oggi l’agroecologia sia comunemente riconosciuta all’interno di una “trinità” che lega disciplina scientifica, movimenti sociali e pratiche agricole. È così che essa coniuga critica e proposta. Se, da una parte, il progetto agroecologico si afferma nel solco di una rivitalizzazione dei sistemi agrari, espandendosi poi nella direzione di un ridisegno più completo dell’agroalimentare, dall’altra, la critica dell’esistente l’ha caratterizzata e rafforzata.

Critica del modello monocolturale o di gestione semplificata e chimicizzata del sistema agrario e dell’industrializzazione della produzione primaria che porta seco la mercificazione del cibo. Se l’agroecologia avanza un’agenda nuova, necessita dunque anche di un’analoga nuova metrica con cui valutarne traiettoria ed efficacia. Richiede pertanto approcci e strumenti multi-dimensionali che misurino non solo i rendimenti agronomici, ma anche le esternalità economiche, ambientali e sociali, richiedendo un cambiamento culturale e filosofico fondamentale nel modo in cui, come società, definiamo i concetti di “produttività” ed “efficienza” (dell’agricoltura).

Il cambio di mentalità farebbe sì che i temi della sostenibilità ambientale e della produzione dei beni pubblici non siano più visti in conflitto, ma piuttosto come delle opportunità per coniugare compatibilità ambientale e sociale con redditività dell’azienda, due obiettivi non contraddittori, specialmente nel medio periodo.

Se dunque, sul piano tecnico, l’agroecologia ragiona più ad escludendum, rifuggendo programmaticamente transgenico, nanotecnologie e analoghe ipertecnologizzazioni, sul fronte socio-economico mira invece a un approccio inclusivo, traguardando bisogni e diritti delle comunità, oltre che la loro coesione.

In questo senso l’agroecologia è anche un movimento sociale, cioè un insieme di organizzazioni e individui che rende manifesto un conflitto esistente nella società e propone un progetto di cambiamento.

L’alternativa proposta è l’applicazione di un modello di agricoltura diverso, basato sulla maggiore autonomia dagli input, su un uso più parsimonioso delle risorse e sulla realizzazione di mercati più giusti fondati sulla sovranità alimentare. In questa visione dell’agroecologia, l’agricoltura contadina e famigliare gioca un ruolo centrale, sia in chiave ideologica che in termini di effettivo presidio tecnico e ambientale richiesto dall’adattamento context-specific.

L’approccio agroecologico si candida inoltre anche quale chiave per aumentare la resilienza degli agroecosistemi per fronteggiare il caos climatico e superare con minori danni gli eventi estremi. L’agroecologia può infatti accrescere la capacità degli agricoltori di adattarsi ai cambiamenti climatici attraverso una migliore gestione del suolo e produzioni diversificate (in termini di coltivazioni, di varietà e di pratiche).

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