Se non si vuole spingere la frontiera agricola, per non erodere savane e foreste o coltivare terre scarsamente fertili, e non si vogliono spingere le rese in modo insostenibile, forzando input ed energie o manipolando i genomi, l’intensificazione dell’attività agricola può rappresentare la strada per garantire produzioni crescenti di derrate alimentari soddisfacendo una domanda in crescita. Tendenzialmente significa aumentare le rese complessive per ettaro, incrementare l’intensità colturale (p.e. tramite consociazioni) per unità di terrà o di altri input come l’acqua, modificare l’uso del suolo fertile premiando coltivazioni a maggiore valore d’uso.
Su questo tema fioccano le iniziative e le mappature delle esperienze, ma anche il processo di accreditamento di aziende chimiche e biotecnologiche che si offrono come parte della soluzione con i loro pacchetti tecnologici, a dimostrazione di come il tema sia critico e da problematizzare.
Le iniziative più recenti guardano all’Africa: una promossa dal governo britannico che ha recensito decine di casi di studio ora disponibili in un numero speciale dell’International Journal of Agricultural Sustainability e un’altra prevista per l’ottobre prossimo in Ruanda co-promossa dal sistema CGIAR e tarata sulla regione tropicale (si veda per informazioni e registrazione il sito della conferenza: http://tinyurl.com/69lr2k3).
Il biologico ha molto da condividere in questa direzione e il dibattito è aperto.