L’impennata dei consumi di prodotti bio rende sempre più chiaro che l’utilizzo di pesticidi oggi è considerato una modalità di produzione vecchia, in tutte le produzioni agroalimentari. La gente chiede un rapporto con la terra autentico, rispetto dell’ambiente e della salute: ed i dati elaborati da Alba Pietromarchi per Firab, lo confermano, come riportato nelle pagine del numero doppio 155-156 di BioAgriCultura
Mangiare bio: fa bene alla salute, all’economia e alla biodiversità.
Cresce anche grazie alla diffusione di un nuovo modello di consumo, in cui il cibo non è più la risposta a logiche di sfruttamento che offendono la terra, ma che richiede una maggiore attenzione all’impatto ambientale che generano le attività agricole, riduzione degli sprechi e quantità, senza perdere di vista la qualità e il valore da ridare a ciò che mangiamo, nella salvaguardia dell’ambiente e della sua ricchezza in termini di biodiversità. Ecco perché sempre di più si sceglie bio … Ed è arrivato il tempo che i grandi insegnino ai più piccoli che mangiare bio fa bene, perché è un cibo più ricco di sapore ma anche di sapere, di cultura e biodiversità!
Questa attenzione verso una corretta e sana alimentazione, come quella biologica, diventa ancor più evidente nel canale delle mense scolastiche: nonostante la crisi, sulla scelta del biologico nelle scuole non si torna indietro. Educa i più piccoli e al tempo stesso dà il buon esempio ai grandi, alla comunità: ecco perché le mense scolastiche che forniscono menù biologici, censite da Bio Bank fin dal 1996, quando erano appena 72, poi aumentate a 608 nel 2004 fino a superare quota 1.250 nel 2015, sono più che raddoppiate nell’ultimo decennio.
Oggi vediamo, quindi, che il comportamento dei consumatori può avere un ruolo decisivo nella tutela dell’ambiente e nel preservare la biodiversità: chi acquista prodotti che derivano dall’agricoltura biologica contribuisce a contrastare la perdita di biodiversità nelle campagne a beneficio dell’ambiente e del paesaggio naturale.
Diverse sono le ragioni che possono spiegare l’influenza positiva dell’agricoltura biologica sull’ecosistema: in primis, non vengono impiegati pesticidi e fertilizzanti sintetici e tutti i mezzi tecnici con impatto ambientale (locale e globale); poi la gestione simpatetica delle aree vicine non coltivate, come siepi, stagni, che contribuiscono ad ospitare diverse specie animali e vegetali ed infine, l’impiego di tecniche di coltivazione biologica che accompagna la pratica dell’allevamento, diversificando gli habitat sui terreni agricoli e favorendo la ricchezza di specie animali e vegetali.
Lo confermano anche i dati di una ricerca dell’Università di Oxford, pubblicati sul Journal of Applied Ecology: le aziende biologiche aumentano la ricchezza di piante, insetti e altri animali in media del 34% rispetto a quanto fanno le aziende agricole convenzionali. Per inciso, la biodiversità agricola rappresenta una quota importante della biodiversità mondiale.
Delle 250 mila specie di piante descritte in tutto il mondo, circa 30 mila sono commestibili e circa 7 mila sono utilizzate per l’alimentazione umana. Secondo la Fao dalle trenta specie vegetali presenti si fornisce il 95% del fabbisogno alimentare mondiale e, tra queste, solo tre specie (riso, grano e mais) ne forniscono il 50%. Sempre la Fao ritiene che circa il 75% della diversità genetica delle piante coltivate sia già stata persa. Ecco perché è importante che vi sia un modello agricolo, come quello biologico, che sia a salvaguardia della biodiversità.
Livelli maggiori di biodiversità significano benefici tangibili, non solo per l’ambiente, ma anche per gli stessi agricoltori e per il mercato agroalimentare ed è per questo che AIAB, insieme a Miscugli.it, Arcoiris e FIRAB, con la supervisione scientifica di Salvatore Ceccarelli, lancia una campagna a tutela della biodiversità, del suolo e della libertà dei contadini per dimostrare come una manciata di semi può essere un grande capitale.
Da non trascurare, infatti, che la biodiversità è un presupposto importante affinché molti processi ecologici che avvengono all’interno degli ecosistemi agricoli (tra cui l’impollinazione, la riduzione dell’erosione del suolo, la decomposizione del letame, il controllo naturale dei parassiti nel suolo) funzionino adeguatamente.
Ciò significa che, durante i periodi di siccità alcuni habitat come, ad esempio, i prati montani a elevata biodiversità risultano meno soggetti a fenomeni erosivi e più resistenti a stress biotici e abiotici, permettendo così di avere produzioni di biomassa più stabili.
Il biologico aiuta quindi la biodiversità che cresce in maniera netta su quel 12% della superficie agricola destinata al biologico nel nostro Paese. Gli habitat agricoli, caratterizzati da una maggiore ricchezza di specie, posseggono anche una maggiore capacità di adattamento e resilienza agli stress ambientali, e quindi ai cambiamenti climatici, secondo quanto oramai evidenziato da numerosi studi scientifici.
Peraltro il modello biologico, non solo risponde a richieste dei consumatori di prodotti sani, buoni, sicuri, equi e sostenibili, ma anche a quelle dei produttori nel fornire maggiore occupazioni, redditi elevati, oltre che – come visto – livelli maggiori di biodiversità.
Secondo i dati dell’Inea, oggi rinominata Crea, le aziende agricole bio generano maggiori profitti: + 30% circa il reddito netto, ovvero il compenso dell’imprenditore e della sua famiglia; +10% il fatturato delle aziende biologiche rispetto alle corrispondenti convenzionali. Inoltre, come richiesto dal metodo di produzione biologica, mediamente si ha un +20% di lavoratori rispetto alle corrispondenti convenzionali.
L’agricoltura bio impegna 60 mila operatori, in termini di numero di imprese, che coltivano 1,5 milioni di ettari di terreno, aumentati del 7,5%, facendo dell’Italia una delle protagoniste del settore a livello europeo e mondiale.
Il 40% della superficie coltivata è a seminativi, tra cui i cereali da cui ricaviamo le eccellenze del Made in Italy, come la pasta; rilevante è la superficie coltivata ad olivicoltura e viticoltura, 180mila ettari di oliveti e oltre 84mila di vigneti, una estensione che porta l’Italia tra i maggiori produttori al mondo. Non solo le superfici coltivate a bio sono cresciute, ma anche gli animali allevati sono aumentati, seppure a ritmi meno importanti e significativi, con l’eccezione del comparto avicolo. Il numero di polli allevati è cresciuto del 161% in questi ultimi 8 anni e nel 2015 l’incremento è stato a due cifre (+18% il pollame), analogamente a quanto avvenuto per il numero di bovini (+20% ) e le arnie dell’apicoltura (+32%).
A fronte del consistente abbandono delle campagne che sta registrando l’agricoltura in generale, quella biologica impegna, invece, sempre più aziende, che solo nell’ultimo anno sono cresciute del 8,2% rispetto al 2014. Anche gli occupati diretti delle imprese di trasformazione[1] sono aumentati del 17,5% a fronte degli ottimi andamenti delle vendite. L’agricoltura biologica impegna sempre più aziende e spiccano gli incrementi dei produttori che trasformano in azienda le derrate da loro prodotte. Su circa 60mila aziende, il 75,4% sono produttori primari esclusivi e l’11,8% trasformano in azienda le loro produzioni. Se pensiamo che, in venti anni, sono aumentate del 421% le aziende certificate bio, ciò vuol dire che, a fronte di un maggior impiego di forza lavoro e del boom della domanda, il biologico offre molte più opportunità di lavoro!
E sono sempre di più i giovani che scelgono di convertirsi al biologico: il 23% delle aziende è condotto da giovani di meno 39 anni (tale incidenza scende al 10% rispetto ai loro “colleghi” convenzionali) e uno su tre è donna, con maggiori livelli d’istruzione, motivati e consapevoli per la scelta fatta in agricoltura biologica, dotati di sensibilità ecologica ed etica; hanno inoltre una maggiore capacità di comunicazione nonché abilità commerciali e capacità di “fare sistema”.
Un settore che valorizza e monetizza le ricchezze del nostro territorio e le produzioni autoctone, avendo chiara la crescente sensibilità dei consumatori verso la sostenibilità ambientale e alimenti sani senza pesticidi, come ci dicono i dati sul boom di vendite di prodotti biologici italiani. Dopo un anno (il 2015) di crescita a due cifre (+20%), i primi sei mesi del 2016, a fronte di un calo dei consumi convenzionali pari a -1,2%, hanno già toccato, secondo i dati Ismea-Nielsen, incrementi del 21% del biologico confezionato venduto sui banchi della GDO.
Il forte incremento delle vendite porta la GDO a conquistare il podio, superando i negozi specializzati, 873 milioni di euro contro 862; aggiungendo vendite dirette degli agricoltori, gruppi di acquisto, vendite online e altri canali si raggiungono 2,4 miliardi che, con i 343 milioni nelle mense scolastiche e nella ristorazione commerciale e con un export in crescita a 1,65 miliardi, il fatturato complessivo del settore biologico italiano nel 2015 è stato di ben 4,3 miliardi.
Il tasso di penetrazione del food bio è passato dal 53% nel 2012 al 74% odierno, secondo Nomisma. Ben 4,5 milioni di famiglie (il 18% del totale) consumano abitualmente prodotti biologici con una crescita del 17% solo in un anno, e ben 3,4 milioni di famiglie li consuma saltuariamente (+11% sull’anno precedente). Se si considerano i consumatori occasionali (11,9 milioni di famiglie) i prodotti biologici sono sulla tavola di quasi 20 milioni di famiglie, almeno una volta l’anno. Secondo il panel Ismea Nielsen, i consumatori italiani preferiscono frutta (19% del venduto) e ortaggi (15%) freschi e trasformati, pasta pane e biscotti (25%), latte e yogurt (10%), uova (8%), vino e bevande (6%), miele, aceto, olio extravergine; in crescita i consumi di carne e pesce.
Si sceglie bio Made in Italy (46% degli acquirenti); preferibilmente di marca (per il 24%); ma anche il prezzo vuole la sua attenzione (23%). Il 23% degli user bio hanno interesse immediato ad incrementare gli acquisti. Il 43% degli acquirenti ha mangiato biologico fuori casa (boom di ristoranti, bar e altri canali on food con menù biologici!). Il 95% dei consumatori bio italiani è interessato a nuovi prodotti bio
Rilevante è anche l’interesse crescente dei consumatori esteri verso il Made in Italy Bio (l’85% dei consumatori USA è potenzialmente interessato, l’81% dei canadesi (Nomisma, 2016).
Crescita di vendite che, secondo Firab, presenta ancora dei margini elevati.
Anzi, tra gli elementi che faranno da traino ulteriore all’espansione del bio, vi è anche la progressiva “fidelizzazione” dei consumatori, 74% degli attuali acquirenti, e la forte capacità del settore di attrarne di nuovi: quelli che ora non comprano bio sembrano molto più propensi di un tempo ad acquistare prodotti agroalimentari certificati bio – anche a fronte di quel “passaparola” che caratterizza il mondo “social” del bio – soprattutto se tali prodotti fossero in assortimento nei negozi abitualmente frequentati o se ci fosse una linea bio nel marchio che loro preferiscono acquistare.
Questo fa pensare che si sta allargando la base degli acquirenti, nonostante la crisi, per l’emergere di nuove modalità di acquisto a prezzi contenuti (come quelle proposte dalla vendita diretta e da altri canali della filiera corta, e, soprattutto, al cambiamento culturale nello stile di vita, con un maggiore rispetto per i fattori etici, sociali e ambientali.
Ciò vuol dire che c’è un bisogno crescente di valorizzare modelli agricoli non inquinanti, sensibili al benessere di individui e comunità, capaci di approcci agroecologici e partecipati.
Alba Pietromarchi ( alba.pietromarchi@firab.it )
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[1] Campione di imprese Assobio.