50 anni fa esatti Rachel Carson pubblicava ‘Primavera silenziosa’, denunciando l’assenza di vita nelle campagne dalle quali non giungeva l’eco di voli di insetti o canti di uccelli. La natura era stata sterilizzata dall’avvento di insetticidi, acaricidi, nematocidi, fungicidi, erbicidi. Si assisteva a un ecocidio.
Negli anni ’80 assunse il nome di spirale dei veleni. Si trattava dell’avvitamento in cui si era accartocciata l’agricoltura in overdose chimica. Erano gli anni dei cocktail di pesticidi, delle falde padane al gusto di atrazina o del compimento della parabola della Rivoluzione Verde, vittima del suo successo a causa delle resistenze che parassiti e patogeni mostravano verso molecole sempre più inefficaci. L’esasperazione in Italia era tale da portare alla prima crescita significativa del biologico o al referendum sui pesticidi, colpito al quorum.
A distanza di diversi lustri il tema è ancora lì e in questi giorni (fino al 31 dicembre) ogni cittadino od ogni organizzazione sociale, ammesso che disponga dell’informazione, può contribuire alla consultazione sul Piano di Azione Nazionale (PAN), promossa dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che attua i dispositivi sul cosiddetto ‘uso sostenibile dei prodotti fitosanitari’. È l’ultima tappa formale del recepimento di una Direttiva Europea che sul tema la dice più chiara e parla di ‘uso sostenibile dei pesticidi’. In fondo di questo si tratta, slittamento semantico e operazione cosmetica a (p)arte.
Eppure l’esigenza di contenere e rimuovere la chimica da campi (agricoltura), corpi idrici (ambiente) e piatti (alimentazione) resta reale e attuale. Solo che viene affrontata con timidezza e senza cogliere la sfida di indirizzare i sistemi agrari verso la compatibilità ecologica e la salubrità nutrizionale.
Nella Direttiva, nel Decreto italiano e nel PAN il biologico è considerato strumentale alla strategia di riduzione dei pesticidi: ne rappresenta la sua ottimizzazione, ma ne resta solo una delle componenti e non quella che gode di considerazione prioritaria.
Ma se il bio, pur operando in un contesto di enorme differenza in termini di investimenti e ricerca, non avesse offerto una prova in carne viva che il modello della rivoluzione verde è superabile, non avremmo ottenuto i passi legislativi di cui oggi parliamo. Il bio lavora in primis sul sistema colturale, sugli equilibri agroecologici, sulla diversificazione ecologica e biologica, sulla rusticità varietale. Come sottolinea anche il Regolamento Europeo che norma il biologico e che elenca i prodotti ammessi per la protezione delle piante, si deve ricorrere a questi solo dopo aver perseguito la sanità del suolo e delle piante che ospita.
Abbiamo assunto l’impegno di presentare emendamenti al PAN, ma diciamo con chiarezza che la vicenda pesticidi pone soprattutto un tema di modello di sviluppo per il sistema agroalimentare non minimizzabile in proposte di modifica riga per riga. La bozza in discussione è dunque ben lontana da una panacea.